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Alessandro Puttinati
Paolo e Francesca
1862-1863, marmo
Legato Francesco Ponti, 1895


Poscia ch’io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e’ cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

I’cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ‘nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri»


Nel secondo girone dell’Inferno della Divina Commedia, Dante e Virgilio hanno appena superato Minosse e si apprestano ad entrare in un luogo buio dove soffia incessante una bufera che trascina i dannati. È qui che il Poeta troverà i lussuriosi, coloro che nella vita peccarono di vizi carnali e che furono drammaticamente assassinati per questi: tra loro ci sono Semiramide, Didone, Tristano, Elena di Troia, Achille e Paride. Ma tra i tanti corpi che si agitano e che vengono sbattuti dalla bufera due in particolare sembrano colpire Dante, il quale si rivolge a Virgilio dicendo che vorrebbe parlare con loro: sono Paolo Malatesta e Francesca da Rimini, i due amanti assassinati da Gianciotto Malatesta. È questa l’iconografia che Alessandro Puttinati riprende nel suo splendido gruppo scultoreo intitolato per l’appunto Paolo e Francesca.
L’opera venne esposta a Brera nel 1863 su commissione di Francesco Ponti e rappresenta un esito tardo, e quindi figurativamente maturo, dell’artista veronese. La ripresa di un certo vorticismo centrifugo caratteristico del barocco è evidente nella posa di Paolo che pare quasi allungarsi verso l’alto con la tipica posa del braccio poggiato sul viso intento ad asciugarsi le lacrime. L’opera appare in aperto dialogo sia con il gruppo berniniano di Apollo e Dafne sia con gli esiti neoclassici più originali, come ad esempio Zefiro che rapisce Psiche di Henry-Joseph Ruxthiel oggi al Louvre. L’impostazione barocca dell’opera è riscontrabile anche nel ruolo che lo spettatore si trova a svolgere al suo cospetto, come emerge dalla lettura dei passi della Commedia:

Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!»

Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere dal voler portate:

cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettuoso grido.


È lo spettatore a diventare involontariamente l’interlocutore dei due amati e dunque lo stesso Dante.
L’opera tuttavia appare iconograficamente diversa dalle opere con cui Puttinati divenne celebre nella prima metà del XIX secolo. Se in un primo momento i soggetti ritratti nelle opere dell’autore erano i personaggi illustri della storia recente e della contemporaneità, negli ultimi anni della sua carriera, forse per un richiamo preraffaellita o per un tardo slancio romantico, due personaggi della letteratura medievale prendono la scena con una posa retorica e allo stesso tempo profondamente drammatica, convincendo lo spettatore dell’autentica forza dell’amore perfino nella condanna eterna della dannazione.

 

 

Approfondimento della Sezione Didattica "Oltre l'opera...."